Mobbing: terrore psicologico sul posto di lavoro
Con la parola Mobbing si intende una forma di terrore psicologico sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi piú gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato licenziamento.
Si tratta di una materia solo recentemente teorizzata, ma ben nota, più vicino alla nostra vita di quanto non avremmo mai immaginato. Chi di noi infatti vive o ha mai vissuto la sua vita lavorativa senza conflitti e senza problemi? Allora siamo dunque tutti vittime di Mobbing? La risposta è, ovviamente, no. Se il vostro capoufficio arriva in ritardo, arrabbiato perchè la macchina l’ha piantato in asso in mezzo ad un incrocio, e voi gli ricordate che deve fare una telefonata fastidiosa o gli riferite l’esistenza di un problema, allora avrete novantanove probabilità su cento di venire trattati male e di sentirvi umiliati e feriti. Una cosa è però certa: non siete vittime di Mobbing, ma solo di azioni che chiameremo mobbizzanti: azioni fastidiose, anche dure e poco gradevoli, ma legate a fattori situazionali (una giornata storta, un mal di testa, un problema privato, o altro da parte vostra o di chi vi lavora accanto) e quindi momentanee. Se invece per qualche ragione il modo di fare prepotente del capoufficio o i pettegolezzi dei colleghi o i comportamenti aggressivi diventano un’abitudine, cioè se le azioni mobbizzanti diventano regolari, sistematiche e di lunga durata, allora si può parlare di Mobbing.
Il Mobbing infatti si manifesta come un’azione (o una serie di azioni) che si ripete per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più mobber per danneggiare qualcuno (che chiameremo mobbizzato), quasi sempre in modo sistematico e con uno scopo preciso. Il mobbizzato viene letteralmente accerchiato e aggredito intenzionalmente (il verbo inglese to mob significa “assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno”) da aggressori che mettono in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale e professionale. I rapporti sociali si volgono alla conflittualità e si diradano sempre più, relegando la vittima nell’isolamento e nell’emarginazione più disperata.
Il Mobbing ha effetti devastanti sulla persona colpita: essa viene danneggiata psicologicamente e fisicamente, menomata della sua capacità lavorativa e della fiducia in se stessa. Risente spesso di sintomi psicosomatici, stati depressivi o ansiosi, tensione continua e incontrollata. L’esito ultimo – e non raro – è il suicidio: in Svezia un’indagine statistica ha rivelato che tra il 10 ed il 20% dei suicidi in un anno hanno avuto come causa scatenante forme depressive dovute a Mobbing. In questo Paese, all’avanguardia nello studio sul Mobbing, è stata aperta una clinica specialistica per mobbizzati, il Mobbing è stato dichiarato reato punibile penalmente ed i suoi effetti sono ritenuti malattia professionale. Le ricerche hanno dimostrato che il Mobbing può portare ad un danno psichico o psicofisico permamente, tale da consentire una regolare richiesta di risarcimento per invalidità professionale.
Ma il Mobbing non è solo questo: esso provoca anche un sensibile calo di produttività all’interno dell’azienda in cui si verifica: chi fa Mobbing o lo subisce fa registrare un forte calo di rendimento professionale, inoltre la vittima si assenta spesso per visite o periodi di malattia. Tale costo si ripercuote poi sull’intera società: una vittima di Mobbing è di solito pre-pensionata o invalidata dal lavoro, e secondo stime statistiche, un lavoratore costretto alla pensione a soli 40 anni costa già 1 miliardo e 200 milioni di Lire in più rispetto ad uno pensionato all’età prevista.
Il Mobbing ha quindi effetti ampiamente distruttivi, complicati dal fatto che scarse e tortuose risultano le possibilità di difesa. Si tratta in effetti di una materia delicatissima, in cui la legislazione è scarsa ed ambigua ed il confine tra lecito esercizio del comando ed il puro arbitrio aggressivo è più impalpabile che mai. In Italia si calcola che più di 1 milione di lavoratori soffrano per Mobbing. Esistono già ricorsi in giudizio per invadilità da vessazioni e persecuzioni sul lavoro che rientrano nella casistica del Mobbing ed alcune sentenze di risarcimento sono già state pronunciate. La strada per arrivare alla dichiarazione del Mobbing come malattia professionale risarcibile e come pratica criminale punibile penalmente é ancora lunga da percorrere. Stiamo muovendo solo ora i primi passi, ma è una battaglia da cambattere con coraggio e determinazione.
2. Le strategie del Mobbing
Il Mobbing è un fenomeno complesso, che può esprimersi in vari modi e i cui attori possono comportarsi secondo canoni diversi. Tuttavia, cominciamo a renderci conto che nel Mobbing esiste una costante: la vittima è sempre in una posizione inferiore rispetto ai suoi avversari. Inferiorità non riferita al potere, all’intelligenza o alla cultura, ma come status: durante un lungo periodo di tempo in cui subisce Mobbing, la vittima perde gradatamente la sua posizione iniziale, cioè perde
1. la sua influenza
2. il rispetto degli altri verso di lui
3. il suo potere decisionale
4. non di rado la salute
5. la fiducia in se stesso
6. gli amici
7. l’entusiasmo nel lavoro
8. se stesso
9. la sua dignità.
La gamma della strategie che un mobber può adottare è davvero diabolica. Ho saputo di impiegati trasferiti in uffici senza servizi igienici, impossibilitati a lasciare il proprio posto di lavoro per i bisogni fisici se non dopo umilianti telefonate; di maestre ridotte a bibliotecarie; di manager cinquantenni truffati con false promesse di riassunzione che si sono ritrovati a percepire stipendi irrisori e degradanti; di impiegate mobbizzate dal capoufficio come vendetta per i loro rifiuti di prestazioni sessuali. I casi più gravi riguardano persone giunte a meditare ed a attuare il suicidio, ultimo atto di un quadro depressivo dilaniante, o esasperate al punto da pensare ad uccidere il proprio persecutore.
Come si può ben immaginare, capire se una persona è stata, è o sta per essere mobbizzata non è cosa semplice. Prendendo ad esempio un periodo medio di 35 anni di lavoro e ragionando a livello statistico, possiamo supporre che almeno una volta nel corso della vita lavorativa ad ognuno di noi si presenti un caso di Mobbing, indipendentemente dal fatto che sia da noi vissuto in modo passivo (cioè se assistiamo da spettatori non coinvolti ad un caso di Mobbing nel nostro ufficio o verso un collega a noi vicino) o che invece ne abbiamo presa una parte attiva (come vittima o come mobber stesso).
Con questo vorrei evidenziare il fatto che il Mobbing non è un fenomeno nè estraneo e nè marginale nella vita di qualsiasi lavoratore. Ma attenzione: ciò non implica che sia un evento del tutto normale! Tutt’altro. Il Mobbing è un’aberrazione e un abuso, che dovrebbe essere combattuto e bandito dalla nostra società. La mia piccola statistica vuole mostrarci invece come a dispetto di ciò esso avvenga tranquillamente e impunemente vicino a noi, probabilmente anche con maggiore frequenza di quanto ipotizzato. Il Mobbing avviene perchè nessuno lo impedisce: gli spettatori non tentano di fermare il mobber, e con il loro silenzio, lo favoriscono. Davanti al Mobbing infatti si tace e si fa finta di non vedere.
Il perchè non è giustificabile, ma almeno comprensibile: la paura. Paura di essere coinvolti, di fare una brutta figura, di essere poi accusati a nostra volta di qualcosa, di avere ritorsioni di qualche genere, di perdere eventualmente il lavoro. Paura, forse, di affermare le proprie convinzioni anche a dispetto di tutti gli altri. Potremmo affermare che esiste una specie di omertà professionale, che innalza un muro di silenzio dietro a cui il mobber può agire indisturbato. Nel Mobbing, purtroppo, vale un vecchio detto: “Chi tace acconsente e partecipa”.
Il Mobbing è dunque sempre esistito, ma solo adesso comincia a diffondersi una sua teorizzazione. Finora è sempre stato passivamente accettato come parte del gioco. I commenti più frequenti che ho ricevuto parlando di Mobbing sono stati: “Purtroppo ci si deve adattare” o “Queste sono le regole del lavoro”. Ebbene, è veramente necessario che ognuno di noi riveda le sue convinzioni e i suoi pregiudizi. Il Mobbing non è la regola da accettare passivamente, ma un abuso da combattere.
3. Gli attori del Mobbing
Il Mobbing è un fenomeno sociale: non può avvenire da sè, ma è fatto, subito o favorito da esseri umani. Le persone che vi prendono parte ne sono attori indispensabili, con i loro difetti, le loro idiosincrasie caratteriali, le loro paure. Il Mobbing è un’azione aggressiva, che vede necessariamente due attori: l’aggressore, o mobber, e la sua vittima, o mobbizzato. In un ufficio, o in un luogo di lavoro, tuttavia, solo raramente questi due personaggi si trovano da soli l’uno contro l’altro. Nella stragrande maggioranza dei casi attorno a loro c’è un numero variabile di persone. Nessuna situazione di Mobbing può restare inavvertita da questi cosiddetti spettatori: la sua portata è troppo pregnante perchè non venga in qualche modo percepita. Conseguentemente a questo, anche gli spettatori del Mobbing ne sono coinvolti: possono fare da semplice sfondo oppure parteggiare apertamente per una delle due parti
Il tratto tipico del mobbizzato è l’isolamento. La vittima di Mobbing si sente incompresa e sola di fronte al suo nemico, in una situazione senza via d’uscita in cui non sa come è entrata e spesso nemmeno perchè. In effetti, molte persone colpite si chiedono ancora oggi cosa mai avessero fatto di male, cosa fosse o sia così sbagliato nel loro comportamento da provocare questo odio degli altri verso di loro. È difficile poter stilare una casistica di vittime, di trovare cioè la persona caratterialmente più propensa ad essere mobbizzata. In effetti, dal punto in cui stanno oggi le ricerche sul Mobbing, possiamo affermare che la vittima potrebbe essere chiunque e che non esiste una categoria di persone predestinata a diventare una vittima del Mobbing.
Tuttavia possiamo affermare che ci sono situazioni in cui è più probabile venire mobbizzati. Pensiamo ad una persona in qualche modo diversa dagli altri: una donna in un ufficio di uomini o viceversa, una persona più qualificata, più giovane, più brava nel lavoro, oppure il classico caso della persona nuova, magari più qualificata e più giovane, addirittura assunta da subito come capufficio: senz’altro le possibilità di subire Mobbing per lui sono sicuramente maggiori. Qualunque sia la sua posizione o il suo carattere, la vittima generalmente, e almeno all’inizio, reagisce al Mobbing che gli viene perpetrato, tuttavia a nulla servono i suoi sforzi: il più delle volte è la reazione stessa della vittima, in qualunque modo essa si configuri, a dare al mobber nuove argomentazioni di attacco o nuovi motivi per continuare la sua azione.
Il mobber, cioè colui che inizia e continua l’attacco, può avere davvero mille motivi per perpetrare il Mobbing: paura di perdere il lavoro o la posizione duramente guadagnata o di essere surclassato ingiustamente da qualcun altro più giovane o più qualificato, o semplicemente più simpatico; ansia di carriera che porta a frantumare qualsiasi ostacolo, vero o presunto, gli si pari davanti; semplice antipatia o intolleranza verso qualcuno con cui è costretto a convivere otto ore al giorno. Il mobber classico non lascia in pace la sua vittima perchè ritiene di riportare vantaggi dalla sua distruzione o la usa come valvola di sfogo dei suoi umori. Può agire da solo o cercarsi alleati. Può addirittura essere assolutamente consapevole della sua azione, mobbizzare di proposito per il gusto di farlo e pianificare per divertimento nuove strategie.
C’è anche chi si trova quasi per caso nella situazione di mobber: è risultato vincitore di un normale conflitto e del tutto inconsciamente continua la lotta con lo scopo di distruggere completamente la vittima. Paradossalmente queste persone non si rendono conto di quello che stanno facendo sulle loro vittime e sono le prime a mostrarsi incredule di fronte agli sviluppi della situazione. Infine ci sono le persone caratterialmente difficili, i collerici, gli autoritari, i megalomani ed i criticoni. E tutta una gamma di frustrati al di fuori del lavoro che sfogano i propri istinti repressi sui colleghi.
Gli spettatori sono tutte quelle persone, colleghi, superiori, addetti alla gestione del personale, che non sono coinvolti direttamente nel Mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di riflesso. La funzione che lo spettatore ricopre all’interno del posto di lavoro ha un’importanza cruciale per lo sviluppo del Mobbing. Come il ruolo del mobber dipende crucialmente dalla sua posizione gerarchica (cioè da quanto potere esecutivo può convogliare nella sua azione mobbizzante), così anche quello dello spettatore diventa fondamentale nella sua capacità di influenza sul Mobbing: se lo spettatore è un neo-assunto in contratto di Formazione allora è comprensibile che potrà fare ben poco di fronte al Mobbing; se invece è il capo-reparto, egli ha l’autorità di porre fine o far proseguire il processo.
Se uno spettatore non agisce, molto spesso si può tramutare in un altro temibile aggressore. Come dice un noto proverbio, il ladro non è solo chi ruba, ma anche chi gli regge il sacco: ebbene, un collega che assiste al Mobbing e non lo denuncia o cerca di interrromperlo in qualche modo può diventare lui stesso un mobber di riflesso, ossia un side-mobber: egli infatti favorisce il mobbing con la sua indifferenza e la sua non disponibilità ad intervenire. I colleghi non direttamente coinvolti hanno in mano la chiave di volta per permettere o non permettere l’azione del mobber nel loro ufficio. Nel Mobbing, più che in altre situazioni, chi tace inesorabilmente acconsente.
4. Le fasi del Mobbing: il modello italiano Ege a 6 fasi
Il Mobbing non è una situazione stabile, ma un processo in continua evoluzione. Sulla base di ciò, gli esperti tedeschi e svedesi hanno cercato di definire gli stadi che il Mobbing attraversa, per cercare di capirne così i metodi e le prerogative. Il modello più famoso è quello a 4 fasi elaborato da Leymann, lo studioso che è ritenuto il fondatore di questo nuovo ramo della Psicologia del Lavoro, che è ampiamente presentato e discusso nei miei libri. Come ho già avuto modo di affermare, tuttavia, ritengo che il modello di Leymann rifletta una percezione del Mobbing prettamente applicato alla realtà svedese, in cui egli operava, con una valida e precisa integrazione derivata dalle sue radici culturali tedesche. Per questo motivo, presumibilmente, il modello di Leymann, oltre ad avere un’indiscussa validità nell’area scandinava, si presta in modo eccezionale all’applicazione anche all’interno di studi condotti in Germania. Quando mi sono trovato ad analizzare la situazione italiana, però, mi sono reso conto che le cose stavano in modo ben diverso. Il modello di Leymann applicato in Italia lasciava infatti troppi vuoti da colmare in modo approssimativo, troppi quesiti aperti e troppe risposte prive di quell’esattezza che uno studio scientifico richiede.
Ciò di cui mi sono reso conto è stato che non era il modello ad essere inesatto (la sua validità era in effetti provata in modo indiscutibile), bensì erano le caratteristiche stesse della situazione italiana che male si adattavano al modello stesso, rendendolo troppo vago ed impreciso. Dunque, sono giunto alla conclusione che il modello di Leymann è inadeguato ed inapplicabile ad una realtà sociale come quella italiana, essendo questa per troppi versi distante ed inconfrontabile da quella germanica o nordeuropea all’interno della quale, e per la quale, esso era stato elaborato. Conseguentemente ho dovuto necessariamente operare degli aggiustamenti sul modello base, per renderlo adatto all’applicazione alla realtà del Mobbing italiano. Il risultato a cui sono giunto è stato un modello che ancora si fonda su Leymann, ma che ne costituisce un ampliamento. Il mio modello, che ho chiamato modello italiano Ege, si compone di sei fasi di Mobbing vero e proprio, legate logicamente tra loro e precedute da una sorta di pre-fase, detta Condizione Zero, che ancora non è Mobbing, ma che ne costituisce l’indispensabile presupposto. Per una maggiore comprensione, vediamo le sei fasi e la pre-fase con l’aiuto di un esempio.
LA “CONDIZIONE ZERO”
Non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una situazione iniziale normalmente presente in Italia e del tutto sconosciuta nella cultura nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica azienda italiana è conflittuale. Sono poche le aziende che sfuggono a questa regola. Questa conflittualità fisiologica non costituisce Mobbing, anche se è evidentemente un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato, che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non è del tutto latente, ma si fa notare di tanto in tanto con banali diverbi d’opinione, discussioni, piccole accuse e ripicche, manifestazioni del classico ed universalmente noto tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri. Un aspetto è fondamentale: nella “condizione zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere, ma solo quella di elevarsi sugli altri.
Vediamo un esempio pratico: un’azienda di servizi che elabora programmi di computer e software. I tempi di consegna sono sempre strettissimi e i dipendenti sono continuamente sottoposti a superlavoro. Matteo è un programmatore dipendente di questa azienda: a volte si trova in difficoltà e indietro col lavoro, ma nessun collega può e vuole aiutarlo, perché impegnato a gestire i suoi stessi tempi strettissimi. Inoltre, nell’azienda esiste una forte competitività: ogni dipendente che riesce a consegnare in tempo il lavoro riceve una gratificazione, mentre chi resta indietro corre seri rischi. In conseguenza di tutto questo, i rapporti personali tra tutti i colleghi (e non solo nei confronti di Matteo) sono praticamente inesistenti e improntati a una gelida cortesia formale.
LA 1° FASE: IL CONFLITTO MIRATO
È la prima fase del Mobbing in cui si individua una vittima e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico di base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si incanala in una determinata direzione. In questo momento l’obiettivo non è più solo quello di emergere, ma quello di distruggere l’avversario, fargli le scarpe. Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più adesso sbanda verso argomenti privati.
Nel nostro esempio, Matteo riceve una cospicua gratificazione per aver portato a termine in tempo un importante lavoro. Questo suscita invidia nei colleghi che temono di venire ingiustamente surclassati: ora, pensano, il capufficio privilegerà lui invece di noi. Cominciano così a isolarlo e a prenderlo in giro: “Sei tu il fenomeno, quindi non hai bisogno di consigli da parte nostra”.
LA 2° FASE: L`INIZIO DEL MOBBING
Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale mutamento.
Matteo è ora fatto bersaglio di veri e propri attacchi: è accusato di stakanovismo e di superbia nei confronti dei colleghi. Prima era spesso attaccato, ora ogni problema viene gettato su di lui, che è diventato ormai il capro espiatorio dell’intero ufficio: “La colpa del ritardo è sua, voleva fare tutto da solo”, “Non ci ha informato per avere da solo tutto il vantaggio”, “Quello vuole farci le scarpe a tutti”. Matteo si accorge della freddezza che improvvisamente lo circonda e comincia a chiedersi cosa mai ha fatto per meritarsela.
LA 3° FASE: PRIMI SINTOMI PSICO-SOMATICI
La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere dell’insonnia e problemi digestivi.
A furia di interrogarsi, il nostro Matteo è arrivato al punto che la situazione in ufficio è diventata un chiodo fisso: non dorme più bene, si sveglia spesso in preda a incubi, comincia ad avvertire tremori alle gambe quando va in ufficio e entra in una lieve depressione, poiché vede che non riesce in nessun modo a migliorare le cose.
LA 4° FASE: ERRORI ED ABUSI DELL`AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE
Il caso di Mobbing diventa pubblico e spesso viene favorito dagli errori di valutazione da parte dell’ufficio del Personale. La fase precedente, che porta in malattia la vittima, è la preparazione di questa fase, in quanto sono di solito le sempre più frequenti assenze per malattia ad insospettire l’Amministrazione del Personale.
In seguito ai sintomi psicosomatici che avverte, Matteo va una prima volta in malattia, ma al ritorno in ufficio le cose sono anche peggio: ora i colleghi lo prendono in giro anche per avere, a loro dire, rimediato delle vacanze extra quando loro erano oberati di lavoro. Matteo cerca di resistere, ma deve chiedere altri giorni di permesso: l’insonnia si è aggravata e la depressione è sempre più profonda, non riesce a entrare in ufficio e a mettersi al lavoro. L’ufficio personale, allarmato anche dal ritardo del lavoro, nota le ripetute assenze di Matteo e comincia a indagare: la soluzione più facile è inviare richiami disciplinari a una sola persona (Matteo) piuttosto che a tutto l’ufficio.
LA 5° FASE: SERIO AGGRAVAMENTO DELLA SALUTE PSICO-FISICA DELLA VITTIMA
In questa fase il mobbizzato entra in una situazione di vera disperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie, che hanno solo un effetto palliativo in quanto il problema sul lavoro non solo resta, ma tende ad aggravarsi. Gli errori da parte dell’amministrazione infatti sono di solito dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno del Mobbing e delle sue caratteristiche. Conseguentemente, i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma anche molto pericolosi per la vittima. Essa finisce col convincersi di essere essa stessa la causa di tutto o di vivere in un mondo di ingiustizie contro cui nessuno può nulla, precipitando ancora di più nella depressione
Matteo è in piena depressione: non riesce più a dormire o ad andare avanti senza pastiglie. Ora è convinto più che mai che tutto il mondo ce l’ha con lui, non solo i colleghi, ma anche l’azienda stessa, che lo richiama, lo rimprovera, gli nega permessi, ferie e aspettative.
LA 6° FASE. ESCLUSIONE DAL MONDO DEL LAVORO
Implica l’esito ultimo del Mobbing, ossia l’uscita della vittima dal posto di lavoro, tramite dimissioni volontarie, licenziamento, ricorso al pre-pensionamento o anche esiti traumatici quali il suicidio, lo sviluppo di manie ossessive, l’omicidio o la vendetta sul mobber. Anche questa fase è preparata dalla precedente: la depressione porta la vittima a cercare l’uscita con le dimissioni o licenziamento, una forma più grave può portare al pre- pensionamento o alla richiesta della pensione di invalidità. I casi di disperazione più seri si concludono purtroppo in atti estremi.
Matteo, ormai incapace di reggere ancora la pressione a cui è sottoposto, si dimette. Le sue referenze per un altro eventuale impiego, non sono certo delle migliori, e comunque, prima di riprendere il lavoro, ha bisogno di riposo e di cure per uscire dal tunnel della depressione e riprendere fiducia in se stesso.
5. Il doppio-Mobbing
Quello che ho chiamato Doppio Mobbing è un’altra situazione che ho riscontrato frequentemente in Italia, ma di cui non si trova traccia nella ricerca europea sul Mobbing. Come ho già affermato, il Doppio Mobbing è legato al ruolo particolare che la famiglia ricopre nella società italiana.
In Italia, il legame tra individuo e famiglia è molto forte; la famiglia partecipa attivamente alla definizione sociale e personale dei suoi membri, si interessa del loro lavoro, della loro vita privata, della loro realizzazione e dei loro problemi: virtualmente non scompare mai dall’esistenza dei suoi componenti: si fa da parte, forse, ma è sempre presente a fornire consigli, aiuti, protezione. Conseguentemente, possiamo ipotizzare che, in linea generale, la vittima di una situazione di Mobbing tenda a cercare aiuto e consiglio a casa. Qui sfogherà la rabbia, l’insoddisfazione o la depressione che ha accumulato durante una giornata lavorativa passata sotto i colpi del mobber. E la famiglia assorbirà tutta questa negatività, cercando di dispensare al suo componente in crisi quanto più ha bisogno in termini di aiuto, protezione, comprensione, rifugio ai propri problemi. La crisi porterà necessariamente ad uno squilibrio dei rapporti, ma la famiglia ha molte più risorse e capacità di ripresa di un singolo, e riuscirà a tamponare la falla.
Il Mobbing, però, non è un normale conflitto, un periodo di crisi che si concluderà presto. Il Mobbing è un lento stillicidio di persecuzioni, attacchi e umiliazioni che perdura inesorabilmente nel tempo, e proprio nella lunga durata ha la sua forza devastante. La vittima soffre e trasmette la propria sofferenza al coniuge, ai figli, ai genitori per molto tempo, il più delle volte anni. Il logorìo attacca la famiglia, che resisterà e compenserà le perdite, almeno per un certo tempo, ma quando le risorse saranno esaurite, entrerà anch’essa in crisi. Come un barattolo, che ha un suo limite di capienza, così una famiglia può assorbire fino ad un certo limite i lamenti di uno dei suoi membri.
Infatti, nello stesso momento in cui la vittima si sfoga, è come se delegasse i suoi famigliari a gestire la rabbia, la depressione, l’aggressività, il malumore accumulati. E giorno dopo giorno, per mesi e anni, il barattolo si riempe, avvicinandosi sempre di più alla saturazione. Se questo avviene, la situazione della vittima di Mobbing crolla. La famiglia protettrice e generosa improvvisamente cambia atteggiamento, cessando di sostenere la vittima e cominciando invece a proteggere se stessa dalla forza distruttiva del Mobbing. Ciò significa che la famiglia si richiude in se stessa, per istinto di sopravvivenza, e passa sulla difensiva. La vittima infatti è diventata una minaccia per l’integrità e la salute del nucleo famigliare, che ora pensa a proteggersi prima, ed a contrattaccare poi. Si tratta naturalmente di un processo inconscio: nessun componente sarà mai consapevole di aver cessato di aiutare e sostenere il proprio caro.
Il Doppio Mobbing indica la situazione in cui la vittima si viene a trovare in questo caso: sempre bersagliata sul posto di lavoro e per di più privata della comprensione e dell’aiuto della famiglia. Il Mobbing a cui è sottoposto è raddoppiato: ora non è solo presente in ufficio, ma continua, a con altre modalità, anche dopo, a casa.
6. Il Bossing
Molto interessanti a questo proposito sono i casi in cui manca la prima fase, ossia quella del conflitto non ancora con caratteristiche mobbizzanti. Nella maggior parte di questi casi siamo di fronte a ciò che si definisce Bossing, cioè Mobbing compiuto dai superiori o dai dirigenti dell’azienda, quasi sempre con lo scopo preciso di indurre il dipendente alle dimissioni. Come sappiamo, al giorno d’oggi il diritto dei lavoratori rende molto difficile per un’azienda licenziare qualcuno senza problemi, soprattutto quando si tratta di persone organizzate nei sindacati. Tuttavia, soprattutto in tempi di crisi, molte aziende sono costrette a ridurre il personale, o a ringiovanirlo. Il Bossing o Mobbing pianificato si configura in questi casi proprio come una precisa strategia aziendale.
Durante le mie ricerche in Italia ho conosciuto vari casi di Mobbing pianificato, messo in atto dall’azienda allo scopo di eliminare singole persone scomode, oppure di razionalizzare, ringiovanire o ridurre in genere il personale. Di solito l’organizzazione assume atteggiamenti davvero spietati, ai limiti (e spesso oltre) della legalità. In Italia la pratica del Bossing trova condizioni molto favorevoli per prosperare: la crisi latente e continuativa, infatti, causa necessariamente un elevato livello di disoccupazione e conseguentemente un’altissima paura da parte dei lavoratori di perdere il proprio posto. In questa situazione la pressione che il datore di lavoro ha la possibilità di esercitare sul dipendente con la minaccia del posto di lavoro diventa facilmente uno strumento di Mobbing pianificato.
In una catena di supermercati discount sono davvero rimasto senza parole davanti all’estrema facilità e normalità con cui le persone scomode venivano sabotate per essere poi denunciate davanti agli altri come incapaci: ho visto tendere vere e proprie trappole, alcune veramente subdole, per assicurarsi una finta prova da esibire per giustificarsi davanti agli altri e accusare la vittima. In un’azienda di questo genere con sede nel Veneto, per esempio, venivano messe in atto da parte della Direzione o dei suoi collaboratori le seguenti azioni di Bossing verso una persona particolare che doveva essere eliminata:
– gli venivano date istruzioni false o incomplete, in modo che egli era costretto a rimediare continuamente ad errori e ad “improvvisare” gran parte del suo lavoro, non sapendo mai nulla con precisione;
– gli venivano spediti fax e altre comunicazioni con ordini e istruzioni anonimi che contenevano, oltre alla vera trappola, anche grossolani errori che potevano facilmente essere fatti ricadere su di lui: il fax non era firmato, in modo che non era possibile per lui difendersi dicendo di aver ricevuto tali ordini da altri;
– il primo direttore compiva apertamente verso di lui la maggioranza delle azioni mobbizzanti descritte in precedenza. La cosa era resa ancora più grave dal fatto che tale direttore si permetteva di rimproverarlo con grida ed insulti davanti a persone che poi dovevano dipendere da lui, in modo che la sua autorità era ogni volta seriamente compromessa;
– venivano favoriti i conflitti e le inimicizie tra la persona presa di mira e i colleghi, mentre gli erano vietati i contatti con chi invece aveva un buon rapporto.
Alla fine, questa persona fu accusata di aver causato un danno ingente all’azienda e licenziata in tronco. Il ricorso al Tribunale del Lavoro era impedito dal fatto che il Bossing era stato accuratamente preparato: il danno all’azienda effettivamente c’era stato e non era possibile in nessun modo dimostrare che non era stato lui a causarlo.
7. Le conseguenze del Mobbing
Il Mobbing è una pratica dannosa e realmente criminale: le sue intenzioni sono dettate da sentimenti profondamente distruttivi verso gli altri ed i suoi esiti sono di portata sconvolgente. È quindi facilmente intuibile la sua potenzialità disgregatrice del tessuto sociale. Le conseguenze di un fenomeno di tale serietà sono quindi ben immaginabili per tutti, tuttavia le prenderemo in esame dal punto di vista dei due elementi che ne hanno solitamente il danno maggiore: il mobbizzato stesso e l’organizzazione (cioè il datore di lavoro in cui la vittima ha lavorato o attualmente lavora).
Per la vittima il Mobbing significa prima di tutto problemi di salute, legati alla somatizzazione della tensione nervosa. Il nervosismo causa spesso palpitazioni, tremori, difficoltà respiratorie, problemi di espressione, gastriti e disturbi digestivi. Un’altra sfera dell’esistenza che risente dello stress è il sonno: incubi, sonno interrotto, insonnia. Spesso poi il mobbizzato manifesta disturbi alle funzioni intellettuali: annebbiamento della vista, difficoltà di memoria e di concentrazione e molto frequenti sono i sintomi da pressione psicologica più evidenti, come capogiri e svenimenti. Il Mobbing causa poi alla vittima anche danni finanziari, spesso di entità considerevole: pensiamo alle costose visite mediche specialistiche ed alle sedute psicoanalitiche, oltre alla scomparsa della regolare entrata mensile dello stipendio nei casi in cui il Mobbing sfocia nella perdita del posto di lavoro. Il Mobbing però causa anche danni di tipo sociale, cioè il crollo della sua immagine sociale e la perdita di colleghi, di collaboratori o di amici che non sopportano più il suo l’umore depressivo o del partner che se ne va convinto che sia un fallito.
Per l’azienda il Mobbing ha effetti ugualmente devastanti, principalmente sul piano economico: sicuramente se un imprenditore fosse a conoscenza dei veri danni del Mobbing, lo combatterebbe con decisione e rapidità. Ho stilato alcuni calcoli riguardo ad un caso di Mobbing in cui mi sono imbattuto. In un’azienda due persone erano sistematicamente mobbizzate per vari motivi dai colleghi. Dopo sei mesi di Mobbing, una vittima aveva ridotto la sua prestazione lavorativa del 40%, un’altra addirittura del 60%, e questo soltanto prendendo in considerazione il rendimento e non i disturbi di salute che le due vittime manifestavano. Gli stessi due mobbizzati in un anno avevano totalizzato uno 8 settimane di malattia e l’altra ben 10 settimane. Sommando il calo di prestazioni alle assenze retribuite per malattia in un anno l’azienda aveva subito in un caso una perdita del 29,2% e nell’altro addirittura del 41,5%. A queste cifre ho aggiunto i costi dei sostituti durante le assenze delle vittime e la perdita di tempo lavorativo dei mobber (circa il 5% delle loro capacità totali erano infatti devolute alle azioni mobbizzanti, distraendoli così dal loro lavoro). Alla fine la perdita totale calcolata dell’azienda in un anno era di ben il 190,7%.
Anche per l’azienda poi il Mobbing ha conseguenze che vanno ben oltre quelle – non poco importanti – dei costi. Ci sono infatti anche conseguenze gravi sul piano sociale: se i dipendenti si dimostrano scontenti delle condizioni di lavoro a cui sono costretti e ne parlano al di fuori, l’immagine della ditta ne risente inevitabilmente e la concorrenza può approfittarne.
C’è poi un’altra entità che viene gravemente danneggiata dal Mobbing, la società stessa. Pensiamo ad un mobbizzato costretto a protratte assenze per malattia. L’INPS, ente statale e quindi finanziato dalla comunità, eroga denaro all’azienda affinchè questa persona sia regolarmente retribuita; non solo: la USL, anche questa statale, contribuisce alle spese per le visite mediche, le analisi, le terapie e gli eventuali interventi di altro genere necessari allo stato di salute della vittima del Mobbing.
Procediamo tuttavia alle estreme conseguenze a cui il Mobbing può portare una sua vittima, cioè a un caso di invalidità professionale permanente. Il mobbizzato è giunto ad uno stato fisico o psichico in cui non può più svolgere normalmente alcun tipo di lavoro (esaurimento nervoso, depressione cronica, etc). In situazioni di danni permanenti alla salute, la vittima può essere costretta al pre-pensionamento in età ancora relativamente giovane. Anche in questo caso i costi per la società sono enormi: non si deve infatti considerare solo la pensione che riceve con 10-20 anni di anticipo rispetto alla normale età pensionabile a cui sarebbe sicuramente arrivato se non fosse stato mobbizzato. Pensiamo anche ai contributi sullo stipendio che non versa più e alla perdita sociale della risorsa umana relativa alla sua attività lavorativa che non svolge più: in pratica, possiamo affermare che la sua forza lavorativa non è più al servizio della società con molti anni di anticipo.
Le ricerche europee sono arrivate ad una stima approssimativa del danno economico che un pre-pensionamente a 40 anni causa alla società: la cifra si aggira su 1 miliardo e 200 milioni di Lire. Una cifra da capogiro, a cui va aggiunto il costo della persona che, non producendo più, occupa però un posto in ospedale o ad una visita specialistica, od ad una seduta di terapia.
Anche l’ambiente della vittima subisce un danno da Mobbing: spesso gli umori altalenanti o insopportabili del mobbizzato riescono a far saltare i nervi anche ai familiari ed agli amici. Immaginiamo una coppia in cui uno dei due partner cominci a subire Mobbing: diventerebbe intrattabile, sempre di malumore e depresso; le sue prestazioni sessuali lascerebbero a desiderare, balzerebbe sul letto in piena notte in preda agli incubi e sveglierebbe anche il partner. Porterebbe a casa i suoi problemi sul lavoro; a volte per cercare di liberarsene si darebbe all’alcol, o al fumo; forse diventerebbe violento. Ce n’è abbastanza per separarsi. Anche un divorzio – mi sembra corretto – è da includere all’interno dei costi a carico della società dovuti al Mobbing.
Nel 1996/97 è stata condotta la prima ricerca sul Mobbing in Italia da parte di PRIMA Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale.
A 301 vittime di Mobbing è stato sottoposto un questionario specifico che riguardava gli effetti e le modalità del terrorismo psicologico che subivano o avevano subito sul posto di lavoro. Ecco alcuni dei risultati della ricerca:
IL SETTORE DI PROVENIENZA DELLE VITTIME DI MOBBING
Più del 38% delle vittime intervistate provengono dal settore dell’industria produttrice di beni/servizi, mentre un altro forte riscontro del Mobbing si ha nella pubblica amministrazione (oltre 21%).
All’interno del mondo industriale o del terziario è ben evidente un certo orientamento verso il profitto, che si traduce di solito nella filosofia secondo cui chi produce di più viene anche maggiormente gratificato. Possiamo dunque avanzare l’ipotesi secondo cui esiste una forte relazione tra Mobbing e ambizione. Poichè più si produce e più si ricevono gratificazioni, è possibile che un impiegato carrierista ed ambizioso ricorra al Mobbing per liberarsi di un collega molto bravo sul lavoro, che è o potrebbe diventare un pericoloso concorrente nella corsa alla promozione. Nell’amministrazione pubblica, invece, solitamente hanno molto peso i favoritismi di ogni tipo, famigliare, politico, etc. Ciò può portare alla spiccata tendenza ad eliminare chiunque non faccia parte della “famiglia”, e che quindi costituisce con la sua semplice presenza, una denuncia al sistema. Un altro motivo di insorgenza del Mobbing negli uffici pubblici inoltre penso possa essere rintracciato nel diffuso sentimento di “noia” di cui tanti impiegati e lavoratori soffrono. In effetti, spesso il personale è in esubero, e quindi il lavoro che ognuno deve svolgere occupa solo una parte del suo orario. Per il resto del tempo si deve restare sul posto di lavoro ad annoiarsi, e prendere in giro un collega diventa troppo spesso un passatempo.
L’ETÀ DELLE VITTIME DI MOBBING
Quasi la metà (48%) delle vittime di Mobbing si trovano nella fascia d’età compresa tra i 41 ed i 50 anni, mentre pochissime vittime hanno meno di 30 anni. La fascia d’età compresa tra i 41 ed i 50 anni è in ogni caso delicata e ricca di problemi: ci si trova in una fase di transizione e trasformazione, dalla freschezza giovanile all’esperienza dell’età matura e, come se ciò non bastasse, si può avere anche molti nemici. Molte ditte, per esempio, quando decidono di puntare sulla dinamicità o perlomeno di voler dare questa immagine di sè, tendono a privilegiare i dipendenti giovani a scapito di quelli più maturi. Inoltre esiste un certo pregiudizio secondo cui un dipendente di una certa età non sarebbe in grado di produrre come uno giovane. Queste impressioni sono confermate dalla naturale tendenza dei giovani, soprattutto se nuovi assunti, a proporre idee e sperimentare metodi rivoluzionari, mentre, comprensibilmente, un impiegato più anziano tende a lavorare con routine e a percorrere strade che già ben conosce. Inoltre, su questo substrato si salda anche un fattore di tipo puramente economico: il neo-assunto, soprattutto al primo impiego, tende a non avere troppe pretese a livello di trattamento economico, cosa che non si può dire di una persona che ha già vent’anni di esperienza. Un altro “nemico” per questa fascia d’età sono i contratti di formazione: essi permettono all’azienda di assumere un giovane con uno stipendio abbastanza basso e senza eccessivo impegno. Così all’azienda potrebbe sembrare più vantaggioso liberarsi di un dipendente tradizionale e dare il suo posto ad un contratto di formazione.
LA DURATA E LA FREQUENZA DEL MOBBING
Mettendo a confronto la durata del Mobbing con la frequenza con cui viene perpetrato, si riscontrano due dati piuttosto sorprendenti:
• una vittima che soffre da più di due anni sotto una situazione di Mobbing viene mobbizzata più frequentemente. Questo avviene perché tutti sono ben consapevoli riguardo a chi sia la vittima e quindi hanno acquisito l’abitudine a “sparare” sempre contro la stessa persona. In più una vittima che è tale da anni ha ormai perso con il tempo la sua forza di resistenza e la sua difesa è diventata sempre più debole e meno efficace. Dunque mobbizzare una persona in queste condizione è meno rischioso per il mobber, che può “osare” di più senza riportare conseguenze.
• una vittima che si trova nel terrore psicologico da meno di due anni può essere bersagliata in modo molto intenso oppure al contrario solo raramente. Il Mobbing è molto intenso all’inizio, perchè il mobber tenta così di piegare fin da subito la resistenza della sua vittima e mettere subito in chiaro chi sia “il più forte”. In questa maniera la vittima potrebbe perdere subito coraggio, rimanere intimidita e quindi non tentare più di difendersi. Dall’altra parte, il mobber potrebbe decidere di agire con frequenza minore per provare la reazione di difesa della vittima, oppure perchè ancora la teme e la rispetta. In quest’ultimo caso il Mobbing diverrà più frequente e intenso man mano che il rispetto ed il timore del mobber verso la vittima calano e cresce così il coraggio del mobber all’azione.
LA POSIZIONE DEL MOBBER
In circa l’88% dei casi è coinvolto un mobber in una posizione superiore a quella della vittima, fra questi in circa il 58% dei casi il mobber è il capo che agisce da solo, mentre nel restante 30% il capo è coadiuvato nel Mobbing dai colleghi della vittima. Solo il 10% sono i casi in cui il mobber era costituito dai colleghi. Dunque, la presenza di una persona di grado superiore nel Mobbing sembra una circostanza diffusa. Tuttavia, il ruolo del capo può essere di due tipi:
• il capo può essere il promotore del Mobbing, che quindi comincia per sua iniziativa e coinvolge i colleghi che lo assecondano o lo aiutano sperando in una qualche forma di gratificazione o semplicemente per amore del quieto vivere (sono molto rari infatti i casi in cui un collega prende le difese di una vittima di Mobbing, mettendosi così apertamente contro il capo);
• il capo può tollerare il Mobbing dei colleghi, permetterlo o addirittura favorirlo: un collega mobber ha sempre bisogno di una sorta di “permesso” da parte del capo a mobbizzare qualcuno
Sia nel primo che nel secondo caso la persona in posizione superiore svolge un ruolo “chiave” per la sopravvivenza ed il progresso del Mobbing. Un tipo di mobber quantitativamente quasi irrelavante (2%) è invece il mobber che si trova in posizione inferiore a quella della vittima. Possiamo quindi pensare che in Italia esista sul posto di lavoro un certo tipo di gerarchia che tende ad essere rispettata al punto che il Mobbing dall’alto è quasi giustificato dal maggiore potere e autorità; dall’altra parte insubordinazioni tali da causare il Mobbing dal basso non sono tollerate. Questa sorta di “regola” sembra ben radicata in Italia: si tende infatti a parlare con un senso di rassegnazione ed inevitabilità riguardo ai possibili problemi di relazione sul lavoro: in pratica sembra che un superiore abbia il diritto di esercitare la sua autorità anche quando non è strettamente necessario e legittimo e che al sottoposto non resta altro da fare se non adattarsi alla situazione. Molte persone sono letteralmente abituate a subire pressioni psicologiche anche molto forti dai loro capi, e tuttavia non pensano minamente che ciò può essere dannoso e che non è comunque legittimo.
IL SESSO DEL MOBBER E DELLA VITTIMA
I mobber preferiscono attaccare una vittima del loro stesso sesso: due mobber uomini su tre se la prendono con una vittima uomo, mentre ben 13 mobber donne su 14 mobbizzano una donna. Gli uomini inoltre sono tendenzialmente più mobber delle donne e non disdegnano però nemmeno una vittima donna: circa un terzo di mobber maschili scelgono una vittima femminile. In questi casi è ragionevole pensare che entri in gioco il fattore delle molestie sessuali, che possono configurarsi spesso come Mobbing a sfondo sessuale. Le donne invece tendono a mobbizzare quasi esclusivamente altre donne. Ciò potrebbe essere correlato al fatto che statisticamente ci sono più uomini nei ruoli responsabili, e quindi più difficili da mobbizzare, ma anche al fatto che nei confronti di un’altra donna possono subentrare più facilmente invidie e gelosie.
IL NUMERO DEI MOBBER
Esiste una forte tendenza da parte dei mobber a costituirsi in un piccolo gruppo di attacco: la maggioranza dei mobber dunque non ha il coraggio di agire da solo, per cui si cerca alleati e complici. Quasi la metà (il 45,5%) delle vittime infatti sono mobbizzate da un gruppo composto da 2/4 persone, e in circa un caso su quattro (ca. 26,2%) il gruppo di mobber era costituito da più di 4 persone. Il gruppo ristretto di mobber (2/ 4 persone) è di solito composto da colleghi-amici che si sentono disturbati in qualche modo dalla vittima, oppure che uno di loro si senta minacciato e che abbia ottenuto la solidarietà degli altri nella sua azione. Nei casi di mobber più numerosi, cioè di gruppi di mobber composti da più di 4 persone, invece, si può pensare che il motivo del Mobbing sia stato individuato all’interno della vittima: in genere in effetti il mobbizzato in questione ha qualcosa di diverso, che lo pone su di un altro piano rispetto agli altri (qualche idea particolare, o un titolo di studio, il gusto del suo abbigliamento, il suo carattere, la sua provenienza, etc). In netta minoranza rispetto agli altri casi sono invece le situazioni che vedono un unico mobber agire in modo autonomo (ca. 19,9%). La scarsa incidenza di questo mobber solitario è sicuramente dovuta al fatto che molti mobber cercano e ottengono in vari modi l’aiuto e la collaborazione di altri colleghi, diventando agli occhi della vittima, parte di un gruppo di aggressori. Ancora più raro è il caso in cui tutto il reparto o il gruppo di lavoro risulti coalizzato contro la vittima (ca. 8,3%). Queste situazioni vedono di solito il mobbizzato ricoprire il ruolo del capro espiatorio, cioè della vittima sacrificale su cui vengono fatte ricadere tutte le mancanze dell’ufficio o del reparto.
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